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Il gruppo che pensa. La mente ampliada come ipotesi di funzionamento mentale.

Fecha Publicación: 31/12/2010
Autor/autores: Fiorella Ceppi

RESUMEN

La experiencia con Grupos Multifamiliares (GM) se desarrolla  desde los comienzos de los años noventa en una Institución Sanitaria Pública.  Esta vivencia terapéutica ha hecho replantearse conceptos teóricos referidos  a aquellos mecanismos  que  consienten de conectar y complejizar los aportes individuales en un proceso de pensamiento en grupo.  En el GM se ponen en funcionamiento las interdependencias patológicas, siendo el lugar para la recontextualización, desbloqueando un funcionamiento mental compulsivamente organizado en torno a contenidos dilemáticos. En esta presentación los autores delinearán  un cuadro de referencia general  en la cual incluir la nueva epistemología implicada en el concepto de mente ampliada aplicada a esta modalidad psicoterapéutica.


Palabras clave: Grupos Multifamiliares; Mente ampliada
Área temática: .

Avances en Salud Mental Relacional / Advances in Relational Mental Health
ISSN 1579-3516 - Vol. 9 - Núm. 2 - Diciembre 2010
Órgano Oficial de expresión de la Fundación OMIE
Revista Internacional On-Line / An International On-Line Journal

IL GRUPPO CHE PENSA. LA MENTE AMPLIADA COME IPOTESI DI
FUNZIONAMENTO MENTALE

Fiorella Ceppi
Gianfranco Cimafonte Telef.: 710-43-13
mariaf@chasque.net

RESUMEN
La experiencia con Grupos Multifamiliares (GM) se desarrolla desde los comienzos de los años noventa
en una Institución Sanitaria Pública. Esta vivencia terapéutica ha hecho replantearse conceptos teóricos
referidos a aquellos mecanismos que consienten de conectar y complejizar los aportes individuales en
un proceso de pensamiento en grupo.
En el GM se ponen en funcionamiento las interdependencias patológicas, siendo el lugar para la
recontextualización, desbloqueando un funcionamiento mental compulsivamente organizado en torno a
contenidos dilemáticos.
En esta presentación los autores delinearán un cuadro de referencia general en la cual incluir la nueva
epistemología implicada en el concepto de mente ampliada aplicada a esta modalidad psicoterapéutica.
PALABRAS CLAVE: Grupos Multifamiliares. Mente ampliada.

SUMMARY
The experience with Multifamily Groups (MG) has been developed since the beginning of the nineties in
a Public Health Institution. This therapeutic experience has led to the rethinking of theoretical concepts
relating to those mechanisms which allow for the connection and to make more complex the individual
contributions to a group thinking process.
In the MG the pathological interdependencies are put into operation, and provides the place for the
recontextualisation, unblocking a mental function compulsively organised around dilemmatic contents.

© 2010 CORE Academic, Instituto de Psicoterapia

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Il grupo che pensa. La mente ampliada come ipotesi di funzionamento mentale

In this presentation the authors will outline a general reference chart which will include a new
epistemology involved in the broad concept of mind applied to this psychotherapeutic method.
KEY WORDS: Multifamily Groups. Mind applied.

SOMMARIO
Il pensiero umano è sempre stato attratto dai meccanismi che sostengono il proprio funzionamento e,
tra i principali argomenti di indagine filosofica, i meccanismi di coscienza sono stati a lungo considerati
come un affascinante mistero e contemporaneamente fonte di mistero, soggetto e oggetto di interesse;
"la mente dopo aver spiegato tutto, è divenuta ciò che deve spiegare" (Bateson, 1972)
Nel nostro lavoro in comunità terapeutica, ci siamo trovati spesso a confrontarci sul versante, per così
dire "in negativo", di tali interrogativi ovvero sul disfunzionamento o la disregolazione di tali
meccanismi. La tendenza agli agiti prende frequentemente il sopravvento rispetto ai processi di
pensiero, non solo nell'esperienza dei giovani pazienti che si avvicinano alla comunità, ma anche in
quella dei loro familiari e talvolta anche nella risposta dei terapeuti; le paure, le angosce, i fantasmi
invadono prepotentemente il campo relazionale inducendo uno stato di allarme permanente che
impedisce di riflettere, bloccando ciascuno in una concatenazione vincolante e coercitiva di
azione/reazione.
L'esperienza maturata all'interno del gruppo multifamiliare ci ha portato a riproporre la questione del
funzionamento mentale sul versante "in positivo", nel momento in cui si assiste alla trasformazione di
un contenuto, inizialmente disorganizzato o incoerente, in pensiero riflessivo: un agito, un delirio, uno
sproloquio incongruo diventano, attraverso il contributo di ciascun partecipante, pensiero coerente
sempre più chiaro e complesso che ciascuno può riconoscere come proprio.
Che cosa accade in un gruppo multifamiliare per consentire a ciascuno di ricontestualizzare le proprie
esperienze, sbloccando un funzionamento mentale compulsivamente organizzato intorno a contenuti
dilemmatici, agiti e mai risolti?
Quali meccanismi consentono di connettere e complessizzare i contributi individuali in un processo di
pensiero di gruppo?
Per fornire una risposta a questi interrogativi, proviamo a ricostruire come nel corso del tempo si è
indagato sulle connessioni tra pensiero personale, interno e soggettivo, e realtà esterna, pubblica e
oggettiva. Attraverso passaggi successivi tenteremo di delineare un quadro di riferimento generale in cui
inserire la nuova epistemologia implicita nel concetto di mente ampliada, inteso come processo mentale
meta riflessivo, contemporaneamente modello e metafora della mente individuale.

PAROLE CHIAVE: Gruppo multifamiliare. Mente ampliada.

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Il grupo che pensa. La mente ampliada come ipotesi di funzionamento mentale

1. ANIMA MUNDI
La concezione di una realtà psichica che travalica e supera i confini personali, sia fisici che mentali, ha
profonde radici nel pensiero occidentale: le sue origini possono infatti rintracciarsi nella filosofia
neoplatonica e nella suggestiva immagine di "anima mundi", tanto antica quanto evocativa, se tuttora
viene utilizzata in componimenti sinfonici, documentari naturalistici, clip pubblicitarie...
Personalmente sono stata molto attratta dalla filosofia e dall'atteggiamento psicologico nei confronti
dell'anima, intesa come "dimora" del pensiero, elaborati da Plotino; a differenza da quanto emerge in
alcune culture animistiche o in particolari filosofie orientali pan psichiche, in cui prevale l'immagine di
un principio unificatore immanente nel mondo materiale, Plotino utilizza l'idea di un'anima del mondo
come matrice germinale entro cui si genera l'anima individuale, la comprende e la connette in una realtà
in cui "*...+ tutte le cose sono per sempre collegate" (Plotino). Pertanto non esiste separatezza tra la
psiche degli individui e la psiche collettiva di cui gli individui sono portatori.
La vera consapevolezza si basa sull'immagine che la psiche ha di se stessa come riflesso della psiche
universale: la coscienza di sé si costruisce sull'attività immaginifica che funziona come specchio tra
mondo interno e mondo esterno attraverso un gioco continuo e scambievole di immagini riflesse. Ci
piace sottolineare come questa concezione della consapevolezza generata da scambi speculari rimandi
alla moderna psicologia secondo cui i principali disturbi della coscienza deriverebbero da disfunzioni del
processi di rispecchiamento, laddove si organizza una consapevolezza di concetti e di idee priva di
riflessi emotivi, un gelido pensiero senza immagini.
A diversi secoli di distanza, questa filosofia viene ripresa nella Firenze rinascimentale da Marsilio Ficino,
retorico, filosofo e, a nostro avviso psicologo, ante litteram.
Mutuando le concezioni neoplatoniche, Ficino sviluppa un interessante parallelismo di funzionamento
tra l'anima universale e l'anima umana in cui l'anima mundi diventa modello intorno al quale si
organizza il funzionamento dell'anima (psiche) individuale. L'anima del mondo viene definita da Ficino
come "il centro della natura, il termine mediano di tutte le cose, la continuità del mondo, il vincolo e la
congiunzione dell'universo" ed essendo l'anima individuale riflesso dell'anima universale essa diventa il
centro dell'esistere umano e "la natura del corpo è interamente soggetta ai moti dell'anima".
Considerando tutti gli eventi alla luce del significato che hanno per l'anima, si da priorità alla realtà
psichica: la realtà dell'esistere umano è la realtà dell'esistere psichico.
Questi contenuti sono per molti versi rintracciabili in alcune posizioni della moderna filosofia della
mente, in particolare rispetto alle connessioni possibili tra conoscenza soggettiva e mondo esterno
oggettivo: la conoscenza ha origine da molte fonti e si sviluppa dal loro incontro, in una circolarità
ricorsiva che connette la mente e il mondo iscritti l'una nell'altro. La doppia presenza reciproca e
contemporanea di mente e mondo esterno si verifica non tanto sulla base di una analogia tra micro e
macro cosmo, quanto piuttosto in virtù di una duplice iscrizione.

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2. ECOLOGY OF MIND
Figlia. Papà, perché le cose hanno i contorni?
Padre. Davvero, non so. Di quali cose parli?
F.

Si, quando disegno delle cose, perché hanno i contorni?

P.
Be', e le cose di altro tipo... un gregge di pecore? O una conversazione? Queste cose hanno
contorni.
F.

Non dire sciocchezze, non si può disegnare una conversazione. Dico le cose.

P.
Si... Stavo solo cercando di capire che cosa volevi dire. Vuoi dire: «Perché quando disegniamo le
cose diamo loro dei contorni?», oppure vuoi dire che le cose hanno dei contorni, che noi li disegniamo
oppure no?
*...+
F.
Che cosa vuol dire per te che una conversazione ha un contorno? Questa conversazione ha
avuto un contorno?
P.
Oh, certamente si. Ma ancora non possiamo vederlo, perché la conversazione non è ancora
finita. Non si può vederlo mai, quando ci si è in mezzo. (Bateson, 1953)
Riflettere sul rapporto tra pensiero individuale - interno e soggettivo - e realtà - esterna e oggettiva - è
riflettere sui contorni, sui confini, su "che cosa limita le unità, che cosa limita le «cose», e, soprattutto,
che cosa ­ se c'è ­ limita il sé" (Bateson, 1979); in tal senso, l'affascinante e complessa teoria della
conoscenza di Bateson che va sotto il nome di Ecologia della mente ribalta i termini del rapporto
cartesianamente definito tra l'io decontestualizzato che conosce attraverso una azione di controllo e
l'altro esterno, a favore di una epistemologia entro la quale non è dato funzionamento mentale né
conoscenza se non all'interno di pratiche interattive.
Specchio, sintesi e originale rielaborazione dei "nuovi" saperi offerti da cibernetica, teoria dei sistemi e
teoria dell'informazione, l'ecologia della mente sposta il focus dai contenuti della conoscenza alla forma
del processo interattivo che definiamo come funzionamento mentale, abbattendo la barriera tra
soggetto osservante e oggetto osservato per soffermarsi sulla relazione che intercorre tra questi due
elementi. La mente - il mondo dell'elaborazione dell'informazione ­ viene considerata da Bateson (1970,
1971) come una unità autocorrettiva totale comprendente l'uomo più l'ambiente che ha il compito di
elaborare l'informazione, costituita a sua volta non da "cose", ma dalle differenze prodotte nella
relazione tra parti della mente che, trasformate passando per i canali neuronali del processo
conoscitivo, rappresentano le idee elementari.
La sede del processo mentale non è quindi interna all'individuo, ma è la struttura che connette, il
sistema all'interno del quale la relazione che origina la differenza (e quindi l'informazione e la
conoscenza) avviene e "i cui confini non coincidono affatto con i confini del corpo o di ciò che
volgarmente si chiama l'io" (Bateson, 1971). Nel ridefinire i contorni del sistema pensante fino a
comprendere l'individuo nel suo contesto, Bateson mette in discussione il concetto di identità
individuale inteso come contrapposizione tra l'io e l'altro ("esiste una linea *...+ così che si possa dire che

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«dentro» la linea ci sono «io» e «fuori» c'è l'ambiente o qualche altra persona? Con quale diritto
facciamo queste distinzioni?" Bateson, 1979) e pone le basi per un io relazionale, definito dal campo
interpersonale; non ha senso, per esempio, considerare l'aggressività o la dipendenza come
caratteristiche interne che si esprimono nei comportamenti manifesti: questi e altri termini relativi al
carattere descrivono scambi tra l'individuo e l'ambiente, e fanno riferimento ai modi in cui l'individuo in
situazioni di ripetizione di contesti segmenta la sequenza delle esperienze e le connota cognitivamente
ed emotivamente.
Accanto all'ecologia della mente, è possibile rintracciare negli ultimi quaranta anni un ampio spettro di
teorie e ricerche empiriche che si sono accostate con una prospettiva interazionista allo studio del
pensiero umano, inquadrandolo all'interno della trama dei rapporti conversazionali e considerandolo
come "l'esito di processi non soltanto cognitivi, ma anche e soprattutto sociali" (Ugazio, 1997); si tratta
di teorie eterogenee e molto diverse per il modo in cui delimitano l'oggetto di studio e per la
metodologia utilizzata: si va dalle ricerche sulla sociogenesi dei processi cognitivi che - partendo dal
presupposto che l'uomo è programmato dalla nascita al rapporto sociale - studiano lo sviluppo della
mente del bambino all'interno di contesti strutturati dall'adulto (Schaffer, Bruner), alle evoluzioni della
teoria dell'attaccamento che ipotizzano che sia l'attaccamento a stimolare lo sviluppo cognitivo e non il
contrario e analizzano il modo in cui modalità disorganizzate di attaccamento inibiscono lo sviluppo di
specifiche strutture cognitive (Bateman e Fonagy, 2004), all'analisi delle forme del "pensare insieme"
nella vita quotidiana, attraverso l'uso di costrutti come quello delle rappresentazioni sociali che
descrivono le forme di costruzione sociale della conoscenza che mediano il rapporto degli individui e dei
gruppi con l'ambiente, orientandone il modo di connotare gli eventi e l'azione.
Esula dagli obiettivi di questo lavoro una analisi dettagliata delle teorie sulla costruzione sociale dei
processi cognitivi (a tal proposito cfr. Ugazio, 1988); ci preme invece sottolineare come gli approcci che
enfatizzano la natura intersoggettiva dei processi mentali nel ribaltare l'immagine ovvia della mente
contenuta nella testa degli individui, nel muoversi tra intrapsichico e sociale, nel continuo rimbalzare tra
l'infinitamente piccolo ­ l'elaborazione del bit di informazione creato dalla trasformata della differenzae l'infinitamente grande - il contesto, il contesto dei contesti -, sono tutti (più o meno
consapevolmente) partecipi di quel pensiero complesso che, secondo Morin (1986, 1990), consente di
render conto dell'ipercomplessità dei fenomeni psichici.
Nata come tentativo del superamento del paradigma dominante della scienza moderna che produce un
sapere settoriale e parcellizzato, l'epistemologia della complessità si presenta come sguardo differente,
mirato non "alla scoperta del segreto dell'universo", bensì all'elaborazione di nuove connessioni "capaci
di moltiplicare le possibilità semantico-espressive degli eventi" (Morin, 1985); se, come afferma Le
Moigne (1985) la complessità "sta nel codice, non nella natura delle cose", compito del pensiero
complesso è quello di produrre un arricchimento di senso, di generare nuovi significati, di reintrodurre
l'incertezza laddove la certezza comportava l'ipersemplificazione e l'eliminazione, la riduzione a rumore
di quanto non assimilabile alle categorie utilizzate dallo scienziato.
In questa prospettiva, la complessità si configura non tanto come risposta e soluzione alla crisi della
scienza, quanto piuttosto come parola-problema (Morin, 1990), sfida (nell'accezione che ne danno
Bocchi e Ceruti nella celebre raccolta di saggi del 1985) e strategia: consiste nell'acquisizione di un
pensiero multidimensionale che, senza cadere nelle spiegazioni olistiche, riconosce nell'esistenza di
discipline differenti, aspetti diversi di una medesima realtà, che "bisogna distinguere e rendere

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comunicanti", in una prospettiva che oppone il paradigma distinzione/congiunzione a quello
disgiunzione/riduzione/unidimensionalizzazione della scienze classiche.
L'attività di pensiero, indagata nell'ottica del paradigma della complessità, non è riducibile alla mente, al
corpo, alla psiche, alla cultura, ma rappresenta un fenomeno multidimensionale che emerge da tutti
questi elementi ed è "inseparabilmente fisica, biologica, cerebrale, mentale, psicologica, culturale,
sociale" (Morin, 1986); le specializzazioni disciplinari (filosofia, epistemologia, scienze fisiche, scienze
biologiche, scienze umane) che studiano questo fenomeno rappresentano differenti punti di vista che
dovrebbero integrarsi in un sistema di meta-punti di vista, network di conoscenze organizzate in una
dimensione dialogica e non reciprocamente escludentesi.
Ed è proprio nello studio dei processi cognitivi che sembrano essersi create le basi per uno scambio
proficuo tra discipline differenti e storicamente in contrapposizione; gli scambi che oggi intercorrono tra
l'epistemologia psicologico-clinica e quella neuro-biologica hanno avviato un cambiamento
paradigmatico che ha assunto la forma di un dispositivo d'ibridazione disciplinare, fondamentale per la
comprensione dei nessi tra processi intrapsichici, relazionali e neuronali. Facciamo riferimento alle
interessanti aree di ricerca attivate nel campo delle neuroscienza che ­ partendo dall'analisi
dell'organizzazione dei processi neurali ­ costituiscono un interessante stimolo alla riflessione in atto sul
funzionamento intersoggettivo della mente, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo delle mappe
neurali, il funzionamento dei neuroni specchio e il riconoscimento della plasticità neurale.

3. MENTE AMPLIADA
García Badaracco (2000) invita a visualizzare il gruppo multifamiliare come una mente ampliata, "una
grande mente che pensa"; l'immagine è potente, evocativa, ricca. In accordo con Morin, può essere
anche visualizzato come un sistema pensante ipercomplesso che funziona (conosce e produce
conoscenze) secondo il metodo della complessità.
Proveremo a dare maggior definizione e profondità a questa immagine, con l'obiettivo di indicare
spunti, porre questioni, piuttosto che offrire risposte definitive: la conoscenza, nell'ottica moriniana,
non è disvelamento, né fotografia della realtà.
Un primo passo consiste nel tentativo di isolare quelle che ci sembrano alcune delle caratteristiche
fondamentali dei gruppi multifamiliari e del loro funzionamento:
1 Il gruppo multifamiliare si configura come sistema di sistemi complessi. L'individuo, la famiglia, il
gruppo: nel suo organizzarsi in una complessità sempre maggiore, il contesto multifamiliare è quello che
più si avvicina alla vita quotidiana delle persone nel contesto sociale (GB, 2000), tutto ciò, "in un gioco di
interdipendenze, di inter-retroazioni reciproche e simultanee, in una combinatoria e in un
incatenamento favoloso di associazioni e di implicazioni" (Morin, 1986).
2 Il gruppo multifamiliare genera una proliferazione di punti di vista. Gli sguardi individuali, quelli delle
famiglie e quelli del gruppo, ma anche lo sguardo terapeutico e quello malato, lo sguardo sano e quello
sofferente; all'interno del gruppo multifamiliare è presente una molteplicità di punti di vista, di vertici
attraverso i quali osservare, rappresentare e costruire l'esperienza.

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3 Il gruppo multifamiliare funziona secondo il principio dialogico. Questo principio presuppone la
necessità di "mantenere la dualità nell'unità", di associare principi che paiono elidersi a vicenda e che
nella loro interrelazione producono nuova informazione (Morin, 1990). Nel gruppo multifamiliare
coesistono punti di vista, interpretazioni, ricordi e attribuzioni contrapposti che - svincolati dalla
dimensione conflittuale vero/falso ­ contribuiscono a complessizzare il pensiero relativo alle vicende dei
partecipanti.
4 Il gruppo multifamiliare funziona secondo il principio ologrammatico. All'interno del contesto
multifamiliare sono sempre costantemente presenti più livelli organizzativi, e il focus si sposta
continuamente dal livello individuale, a quello familiare, a quello gruppale, nell'idea che così come la
parte è nel tutto, il tutto è nella parte.
5 Il gruppo multifamiliare genera combinazioni (e connessioni mentali) non prevedibili. Nel contesto
multifamiliare si lavora "sull'articolazione tra una famiglia e un'altra, facendo scaturire la ricchezza delle
somiglianze, delle differenze e delle contraddizioni, per generare nuove organizzazioni individuali e
familiari, allo stesso tempo" (GB, 2000); ad esempio, una figlia che si è sempre posta come "terapeuta"
della propria madre, nel gruppo multifamiliare non solo può vedere in azione altre interazioni madrefiglia (e valutarne le somiglianze, le differenze, le incongruenze), ma può entrare lei stessa in relazione
con un'altra madre (magari iperaccudente e invasiva) e osservarsi in un ruolo differente, non previsto
dal rigido copione familiare.
6 Il gruppo multifamiliare è generatore di storie. Le persone pensano "per storie, perché siamo costituiti
da storie, immersi in storie, fatti di storie" (Bateson e Bateson, 1987). Nel gruppo multifamiliare
emergono storie individuali che hanno a che vedere con il modo in cui ciascuno elenca, connette,
significa e ordina gli eventi, ma anche storie familiari che organizzano l'identità e definiscono ­
attraverso la condivisione dei ricordi ­ l'appartenenza familiare; si produce quindi una pluralità di
narrazioni che si influenzano reciprocamente attraverso le risonanze che per ciascuno hanno le storie
altrui, con le somiglianze e le differenze con le proprie. In questo modo le storie si trasformano e si
arricchiscono, consentendo di ricostruire una trama narrativa del disagio individuale e familiare, spesso
semplificata, se non occultata, dall'etichetta diagnostica.
7 Il gruppo multifamiliare è generatore di significati. Nel gruppo multifamiliare tutto è racconto e tutto è
significato: storie, immagini, metafore, sguardi, punti di vista si incrociano e si combinano, in un
processo di continua traduzione e ricodificazione, all'interno della quale il contesto gruppale pensa il
pensiero individuale e lo restituisce arricchito di senso all'individuo.
8 Il gruppo multifamiliare "pensa" in modo circolare. L'utilizzo della metafora sistemica consente di
guardare al contesto multifamiliare come ad un sistema complesso all'interno del quale lo scambio
avviene attraverso circuiti di retroazione: questa modalità di comunicazione è contemporaneamente
matrice e modello per il funzionamento della mente individuale (e familiare) dei partecipanti.
9 Il gruppo multifamiliare funziona come contesto di deuteroapprendimento. Il gruppo multifamiliare, la
grande mente che pensa, si configura come contesto di deuteroapprendimento che, amplificando il
funzionamento mentale di ciascuno, consente di smantellare organizzazioni di pensiero rigide e limitanti
e di imparare ad imparare, attraverso ­ per dirla con Bateson (1972) - un "cambiamento correttivo
dell'insieme di alternative entro il quale si effettua la scelta, o un cambiamento nella segmentazione
della sequenza delle esperienze".

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10 Il gruppo multifamiliare produce un network di conoscenze non strutturato gerarchicamente.
All'interno del gruppo multifamiliare non c'è un sapere dominante che organizza e governa gli altri
saperi (come avviene nel paradigma biomedico), né una conoscenza che a priori si pone ad un livello di
complessità maggiore; c'è, al contrario, una costellazione di saperi interconnessi (dei pazienti, dei
familiari, del conduttore, delle famiglie) che, laddove si attiva la funzione riflessiva e si aprono nuovi
spazi mentali, si può organizzare in conoscenze più complesse, conoscenze relative alla conoscenza,
"meta punti di vista", nell'accezione di Morin.
Il passo successivo crediamo consista nel formulare delle ipotesi su che cosa garantisce che il gruppo
multifamiliare funzioni in modo complesso. Anche in questo caso proveremo a indicare alcuni punti che
ci sembrano salienti:
1 L'epistemologia del conduttore. Il conduttore rappresenta il primo garante del funzionamento
mentale complesso: il suo modo di connettere, mettere in relazione e significare gli eventi, il suo
pensare in modo lineare o circolare rappresentano un modello di pensiero per gli individui, le famiglie e
per il gruppo stesso. L'utilizzo di un metodo della complessità è più significativo dell'appartenenza
teorico-metodologica: García Badaracco rivendica l'adesione del suo modello di intervento al registro
psicoanalitico, ma sottolinea che il suo modo di lavorare psicoanaliticamente all'interno del gruppo
multifamiliare scaturisce da "una riformulazione e ricontestualizzazione del pensiero psicoanalitico. *...+
Si tratta di una revisione profonda della metapsicologia psicoanalitica.". Differenti approcci teorici
possono stabilire una relazione discorsiva per cui "la visione sistemica può complementarsi con la
visione psicoanalitica, senza produrre difficoltà. Piuttosto produce arricchimento." (García Badaracco,
2000).
2 Il concetto della virtualità sana come superamento della dicotomia parti sane/parti malate. Le
interazioni all'interno del gruppo multifamliare garantiscono il superamento della trappola insita nella
dicotomia parti sane/parti malate che tradizionalmente limita gli scambi tra terapeuta (espressione di
sanità, conoscenza, competenza) e paziente (espressione di malattia, errore e incompetenza), attraverso
la costituzione di una rete di interdipendenze sane che gradualmente consente l'emergere di una
virtualità sana gruppale. Riferirsi alla virtualità sana permette di ricollocare ciascuno all'interno della sua
esperienza così come si è organizzata in rapporto alla personale proporzione di interdipendenze
patogene/interdipendenze sane; ogni partecipante ­ terapeuta, paziente, familiare ­ condivide con
l'altro l'engramma potenziale della virtualità sana, la cui espressione è definita e ridefinita dal rapporto
quantitativo tra esperienze di interdipendenza patogena e interdipendenza sana. Nel gioco del
rispecchiamento reciproco, ciascuno può vedere riflessa la propria virtualità sana, anche laddove la
"malattia" sembra occultarla, ciascuno ­ anche il terapeuta ­ può riconoscere e tollerare la propria
sofferenza generatasi dalla storia personale di interdipendenze patogene.
3 L'emergere del "come se". Frequentemente all'interno del gruppo multifamiliare appare chiaro come
l'individuo sia "abitato" da paure, fantasmi, residui traumatici appartenenti ad altri che orientano
comportamenti in modi inspiegabili e spaventanti; sembra che ampi spazi della mente vengano
sottoposti a un continuo movimento di colonizzazione da parte dell'altro, attraverso un processo di
internalizzazione di stati mentali non comprensibili e non coerenti dell'altro come parti di sé (los otros
en nos otros). Rivivere questa esperienza attraverso l'esperienza di un altro, osservarsi in un'altra
prospettiva, in un come se che rappresenta la base dei processi di mentalizzazione, consente a ciascuno
di collegarsi con propri spazi mentali fino ad allora inaccessibili. Si determina un processo di

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propagazione, come avviene quando si getta un sasso in uno stagno, in cui il commento personale a
questa esperienza, originatosi in uno spazio mentale nuovo, genuino, non colonizzato, produce un'onda
d'urto nella mente di ciascuno, che a sua volta risponde con una ulteriore stimolazione attraverso
scambi circolari sempre più ricchi e complessi. Si costituisce così una rete ampia e profonda di
connessioni tra spazi mentali che insieme costruiscono un pensiero di gruppo a cui ciascuno contribuisce
e che ciascuno può riconoscere come proprio. Riteniamo che partecipare a una esperienza emotiva e
cognitiva così intensa funzioni da stimolo ai processi mentali personali che, così come accade nella
mente ampliata gruppale, possono, attraverso un gioco di onde d'urto concentriche, liberarsi
gradualmente dalla pesante oppressione della colonizzazione altrui.

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